Il giardino archeologico

 

Img post blog 18In questi giorni ho avuto modo di riflettere sui canali a secco, vie di comunicazione chiuse, flussi d’idee interrotti. L’acqua è vita.

In uno di questi canali, davanti a una chiusa che mostra qualche falla, è stato posto un manufatto tra l’erba alta, un accumulo di materiale ferroso che urta il dignitoso pensionamento del naviglio. Però… lì accanto c’è un attestato d’arte, il solito cartello della mostra “Le chiuse”:

“I colori della natura sono anche nel lavoro Marco Gaviraghi Calloni, una gondola rivestita di foglie di ferro, che prenderanno la ruggine con il passare del  tempo. E’ un riferimento alla memoria del luogo. La gondola verrà inglobata dal territorio e diventerà una sorta di reperto archeologico naturale, in una dimensione in cui la natura, appunto, ha riconquistato i suoi spazi rispetto all’opera dell’uomo, che ha abbandonato il canale nel corso degli anni.”

Ammiro talvolta l’ingegno di chi deve trovare le parole per attribuire la qualifica d’arte a certi oggetti, e in questa mostra si compiono spettacolari salti mortali senza rete.

Quest’opera dimostrerà che il ferro arrugginisce e che resterà nel canale come una scheggia di ferro nella carne viva. Certo, è questione d’interpretazione ma, spero che l’opera sarà rimossa alla fine della mostra.

Mi resta da capire cosa s’intende per “reperto archeologico naturale” se non c’è nulla da reperire.

(foto J. Greenriver)