L’ultima cliente

Dal cielo scuro sopra Milano scendevano grossi fiocchi di neve sulle spalle di Verena che guardava l’ingresso di un supermercato alimentare incastonato tra vecchie case. Era tardi e, in quel quartiere fuori dal centro, la gente si era già rintanata per festeggiare la vigilia di Natale.

Diede un colpo di tosse e andò decisa a spingere la grande porta a vetri. L’accolse una lama d’aria calda, un gradevole muro isolante che divideva il dentro dal fuori. Abbassò il cappuccio liberando le corte ciocche grigie, e guardò verso le casse: ne era rimasta aperta solo una alla quale sedeva una cassiera annoiata.

Verena fece scendere la cerniera del cappotto macchiato e si fermò accanto ai cestini impilati chiudendo gli occhi. “Bach…”, mormorò ascoltando la musica trasmessa in filodiffusione.

Le strette corsie, tra migliaia di imballaggi colorati, erano vuote. S’inoltrò tra file di generi alimentari d’ogni sorta; si fermò sospirando davanti al ripiano delle zuppe in scatola ma passò oltre: non avrebbe potuto scaldarle. Passò lungo pile di carte da cucina e schiere di bottiglie di detersivi, allineate come soldatini.

Si guardò intorno un paio di volte prima di fermarsi davanti allo scaffale del pane poi, con mossa rapida infilò in una delle ampie tasche un sacchetto di bocconcini al latte. I suoi denti rovinati avrebbero saputo gestirli meglio dei panini al grano duro.

Con l’andatura rigida, si spostò nel reparto dei frigoriferi. Accarezzò con lo sguardo i salumi in bella mostra e il salmone affumicato in confezioni natalizie, ma poi, rapidamente, s’impossessò di una busta di prosciutto affettato e lo infilò sotto il maglione bucato. Trascinando i piedi s’avviò verso le casse.

Rallentò all’altezza dei dolci: caramelle e cioccolatini nelle cartine brillanti sembravano esaltare la decorazione festiva del negozio. Prese una scatola di cioccolatini, la strinse un attimo a petto e poi rimise la confezione a luccicare accanto alle altre. A testa bassa proseguì verso il passaggio che indicava ‘uscita senza spesa’ e smise di respirare finché l’antifurto lanciò il suo urlo verso il soffitto.

La cassiera si alzò con un salto, si precipitò verso la donna che aveva allungato il passo e la raggiunse sulla porta d’uscita del negozio. “Signora…”, disse arricciando il naso.

“Mi lasci, la prego. Ho fame.”

“Non so… non posso…”

L’indecisione della ragazza fu risolta dall’arrivo della guardia giurata. “Sono stufo di questa gente”, gridò.  Strattonò la vecchia trascinandola accanto alla cassa. “Svuota le tasche, barbona.”

Verena pescò i panini da dentro la giacca e vi mise accanto la busta di prosciutto che aveva la temperatura del suo vecchio corpo scarno. “Ecco”, mormorò, “la mia cena”.

L’uomo sbuffò e batté un piede indispettito. “Sono quasi le otto… i carabinieri ci mettono un sacco per arrivare.”

“Senta”, tentò la cassiera, “non si può…?”

“No, non si può”, ringhiò l’uomo. Gettò un’altra occhiata all’orologio a muro, prese la refurtiva e spinse Verena verso un locale in fondo alla fila di casse. “Forza, che ho famiglia anch’io.”

Sulla porta con la scritta direzione comparve una donna sulla cinquantina con la testa piena di riccioli rossi ben ordinati. “Ci penso io”, disse alla guardia, “voi chiudete il negozio.” Lasciò in piedi la donna e si sedette alla scrivania oltre la quale c’era un monitor con la panoramica su vari punti del negozio.

“Allora”, disse la direttrice, “credeva di fregarci sul filo della chiusura?”

Verena non rispose.

“Il nostro antifurto resta attivo fino all’ultimo secondo.” La direttrice guardò fuori dalla grande vetrata a senso unico. “E da qui controllo tutto.”

La taccheggiatrice annuì con la testa bassa.

“Cosa devo fare con lei?”, continuò la direttrice. “Dovrei chiamare i carabinieri, scomodare le forze dell’ordine per un etto di prosciutto e qualche panino. Ma lei sa, quanto costa alla società?”

“Mi dispiace, ho tanta fame.”

“Ma perché non va a lavorare?” La rossa si lasciò cadere sulla poltrona dall’altra parte della scrivania. “Odio queste cose!”

“Lo vuole sapere davvero?”, chiese Verena alzando la testa. Poi, senza attendere risposta, continuò: “Facevo la cassiera in un bel negozio, mi trovavo bene e al direttore piaceva la musica classica. Mi ha fatto un filo serrato e io ho calato le braghe perché  lui era il padrone, anche se non proprio… era della moglie.”

Lo sguardo della direttrice corse fuori, attraverso il vetro con la vista sulle casse.

L’accenno di un sorriso comparve sulle labbra screpolate di Verena. “La solita storia: lui mi vizia, mi regala i cioccolatini – quelli rotondi – e mi promette che pianterà la moglie. Io gli credo.”

“Insomma, una troietta come tante”, interruppe la rossa lisciando il filo di perle al collo. “Credete sempre di essere furbe.”

“Lui prende in affitto un appartamento e una volta la settimana si ferma anche di notte: era come avere un marito part-time. Poi resto incinta e lui mi paga tutto: come un vero signore, altroché.”

“Va bene, ma adesso come la mettiamo? Devo farla arrestare… accidenti, ma perché proprio oggi, che ci sono io?”

Verena sollevò le sopracciglia. “É andata avanti per vent’anni poi non s’è più visto. La mia bambina è andata a fare la cameriera in Australia e io… a fare l’accattona in Centrale.”

“E il bastardo?”

“L’ho cercato, ho chiesto aiuto, ma lui s’è messo a ridere; dice che ne ha una più giovane, che tanto la moglie lo sostituisce il venerdì pomeriggio e continua a bersi la storia dell’analisi.”

La direttrice impallidì. Lo sguardo andò al cellulare poi sul volto rugoso della mendicante. Scosse impercettibilmente il capo, era più un tremolio che un diniego.

Le labbra di Verena si tesero in una smorfia. “Lui ha il telefono spento. L’analista non darà mai informazioni… poi, Roma è lontana.” Si alzò rilasciando una zaffata di odore cattivo. “Però, anche lei! Credere ancora alla storia della psicoterapia del venerdì notte…”

La rossa chiuse gli occhi e serrò i denti. La respirazione accelerata era distintamente registrabile dal movimento sussultorio delle perle.

Verena uscì dall’ufficio. Passò sorridente davanti alla cassiera e alla guardia giurata, quindi s’avviò lungo la strada imbiancata. Infilò una mano sotto il maglione ed estrasse un cioccolatino rotondo. Lo scartò e lo mise in bocca.

“Buon Natale, bastardo”, mormorò.